martedì 27 settembre 2011

CHI HA (DAVVERO) PAURA DI UNA NUOVA BOLLA TECNOLOGICA?



Da qualche tempo, nella dorata Silicon Valley californiana, non si vedeva tanto entusiasmo; dopo lo sgonfiamento della bolla delle cosiddette dot.com, fine anni novanta, i risultati delle aziende hi-tech erano tornati ad essere tutto sommato soddisfacenti, nonostante la crisi in atto e la paura di nuovi crolli borsistici. Eppure, giura chi è stato in quelle zone californiane, si avvertiva un forte bisogno di una scossa, di un’ondata di entusiasmo euforico e coinvolgente, per dare nuovamente lustro ad un settore, ad una valle, ad una filosofia di vita, ad un intero comparto (il tecnologico) dell’economia statunitense; la Silicon Valley è anche questo, un eldorado che negli anni novanta è stato croce e delizia degli investitori americani e di tutto il mondo. Qualcuno si spinge oltre, affermando di aver visto cartelli sulle porte delle infinite aziende della Valley con su scritto “AAA cercasi nuova bolla su cui investire”; certo, considerato lo stato di salute dell’economia mondiale, appena uscito, per di più malconcio, dalla bolla immobiliare del 2008 e con epicentro proprio gli Stati uniti, può risultare improbabile tanto azzardo, ma sembra che la voglia di cavalcare l’onda sia tanta.
Nonostante ciò, vedendo i numeri relativi la collocazione in borsa del social network professionale “LinkedIn”, un po’ di timore è lecito, il dubbio che una nuova bolla stia crescendo in modo artificioso è reale, così come la paura degli investitori che rischiano, in un futuro prossimo, di restare in mano con contratti azionari di poco valore. I numeri ci dicono che LinkedIn, a fronte di un fatturato da 243 milioni di dollari, ha piazzato sul NYSE ben 7,84 milioni di azioni dal valore di 45 dollari ciascuna; fatto un rapido calcolo si nota come il valore totale attribuito a LinkedIn sia stato di 4.3 miliardi di dollari, ben 45 volte il suo valore reale.
 LinkedIn potrebbe fare solo da apripista a tutta una serie di social network in rampa di lancio, pronti ad essere quotati con valutazioni super; Facebook è l’esempio più eclatante, seguito a ruota da Twitter, entrambi scambiati sul mercato secondario con un volume pari rispettivamente, a 76 e 7,7 miliardi di dollari. Tanto, troppo per chi fattura non più di 2 miliardi annui.
La cronaca ci dice che LinkedIn ha visto moltiplicare il suo valore in modo esponenziale, toccando il massimo intraday a 122 dollari per azione, più del doppio della quotazione di partenza, con il conseguente risultato che quella notte in molti sono diventati ricchi. Un mucchio di soldi per chi ci ha creduto: veloci, facili e tanti. Un cocktail perfetto per gli speculatori, meno per i più prudenti analisti.
E oggi? Il titolo si attesta sui 71 dollari per azione, ma molte società di consulenza puntano su ulteriori ribassi.
I dot.commers, i nuovi cavalcatori dell’ondata hi-tech, farebbero bene a stare attenti da tanta euforia, per non ripetere gli errori del recente passato e soprattutto per trarne insegnamento. Gli Stati Uniti non possono tollerare un altro scandalo finanziario sviluppatosi sul loro territorio, ne varrebbe credibilità e rispetto nell’intero mondo finanziario. I social network sono stati una rivoluzione sociale, questo è indubbio, se ad ogni click corrispondesse un dollaro le valutazioni sopra citate sarebbero reali; ma l’equazione non regge, almeno per il momento. Chiaro che siamo di fronte ad un settore dal potenziale enorme ed ancora in fase di crescita, ma è necessario uno sviluppo attento e sostenibile per i bilanci delle aziende coinvolte così come per gli investitori. In altre parole, bisogna andarci piano.
Da oggi, forse, il nuovo mantra di wall street, come indicato dal “wall street journal” sarà “proteggi e preserva”. I guadagni, così come la credibilità internazionale.


Claudio Tuteri

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